Palio del Viccio
L'APPROFONDIMENTO

Tra passato e presente… Il Palio del Viccio: una tradizione che si rinnova

Pasquale Catacchio
Pasquale Catacchio
Sulle tracce del Palio del Viccio: un viaggio tra storia, miti e tradizioni nella città di Palo del Colle
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Anche quest’anno la città di Palo del Colle è pronta ad accogliere il Palio del Viccio – edizione 2024.
Le origini della storica cavalcata, che vede protagonisti diversi fanti che a loro volta rappresentano specifici rioni del paese, si perdono nella notte dei tempi e su di esse, spesso e volentieri, sono state elaborate diverse tesi, che poi son divenute false certezze.
Tali notizie fuorvianti, col passare del tempo, si sono configurate come “ipse dixit” ma è doveroso rimembrare che ad oggi non esistono fonti certe scritte, difatti questo è quello che è emerso anche dalla meticolosa ricerca effettuata dall’avvocato e studioso Giovanni Lanzellotto, noto divulgatore culturale della nostra bella cittadina.
L’intento di questo articolo, quindi è stato quello di conciliare e riassumere, per quanto possibile, le diverse informazioni reperite da alcuni degli studiosi del nostro paese, al fine di presentare un quadro generale e compendiante, circa questa storica manifestazione che, come nel passato, anche nel presente continua ad affascinarci ed incuriosirci.
Come ha fatto presente lo studioso Lanzellotto, uno dei primigenei riferimenti concernenti il nostro Palio del Viccio si può reperire all’interno del libro “La storia di Palo”, redatto dallo storico locale Polito nel 1935; egli annovera per la prima volta il Palio tra le varie manifestazioni folkloristiche presenti nel nostro paese e si limita nel citarlo e descriverlo, senza effettuare alcun riferimento a datazioni varie.
Secondo l’ipotesi del noto divulgatore, sarebbe possibile ipotizzare che questa storica cavalcata risalirebbe alla seconda metà dell’Ottocento ma non prima, a differenza di quanto invece altri hanno asserito, seppur errando, antichizzando e collocando il Palio in un arco temporale molto più dilatato e proiettato addirittura XV secolo, più specificamente all’epoca di Sforza Maria Sforza, figlio del duca di Milano Francesco Sforza, al quale nel 1464 il re aragonese di Napoli Ferdinando I, donò il Ducato di Bari ed altre terre, tra cui Palo. In sostegno a tale tesi si è addotta, come motivazione, la mera ragione che il duca fosse amante dei cavalli, e creò degli allevamenti equini in diversi suoi possedimenti, tra cui Palo.
Tale dato, però, non è assolutamente sufficiente a comprovare storicamente le origini della nostra tradizionale cavalcata carnevalesca; per non citare poi, l’ulteriore fallace “racconto storico” secondo il quale la regina Bona Sforza, recandosi in visita a Palo, sarebbe stata solennemente omaggiata dalla città, assistendo alla gara cavalleresca del Palio, tenutasi in suo onore.
Inoltre, come rimembra Lanzellotto, supportato dalla propria meticolosa attività di ricerca, sino a prima del XIX secolo non vi è alcun dato storico che si riferisca al Palio del Viccio; anche i plurimi registri settecenteschi riguardanti la contabilità del Comune di Palo del Colle non apportano alcun ragguaglio in merito, neppure in termini di sponsorizzazione o finanziamento da parte dell’ente stesso.
Alla luce di quanto detto, quindi, qualora la ricerca ci donerà una traccia tangibile, di detto Palio, si potrà disquisire con certezza e favorire una genuina divulgazione di questa storica manifestazione cavalleresca della nostra amata “Palum”.
Fatto sta che il Palio del Viccio, come afferma anche il Prof. Dino Tarantino, è una delle più importanti manifestazioni popolari della tradizione folklorica palese e può essere considerata una delle più significative espressioni della nostra cultura agraria che storicamente ha pervaso e dominato la nostra civiltà preindustriale.
<<Se trovasse adeguati avalli culturali e supporti istituzionali, il Palio del Viccio potrebbe essere più adeguatamente valorizzato e assurgere a eccezionale documento superstite del patrimonio immateriale della civiltà rurale che per secoli ha innervato l’economia, la società e la cultura delle nostre contrade e del mondo agricolo mediterraneo>>.
Anche lo studioso Tarantino è concorde nell’affermare che sarebbe inutile e fuorviante indugiare nella vana ricerca di reperire origini storicamente datate di questo rito-spettacolo, nè tanto meno sarebbe il caso di inventarsi fantasiosi quanto goffi rinvii storici alla ricerca di origini e ascendenze del tutto infondate.
Questo rito-spettacolo, sostiene Tarantino, <<rappresenta il vertice e la conclusione delle manifestazioni carnevalesche. È imprescindibile dal Carnevale che solo dà significato a questa tradizione. Fuori e svincolato da esso, il “Palio del Viccio” non avrebbe senso (da questo punto di vista, confronti e comparazioni con altri tipi di giostre e tornei a cavallo di altre città, compreso il più noto Palio di Siena, sono fuori luogo). Il Carnevale è la più grande delle ricorrenze popolari laiche ed è la più rilevante e pregnante delle feste agrarie. È una sorta di snodo dell’annata agraria, un tempo di purificazione e di rinnovamento, una fase centralissima della struttura produttiva e della sovrastruttura ideologica della società rurale. Si è nel cuore dell’anno agrario, dalle cui temperie dipendono le sorti delle campagne e la vita delle famiglie contadine e dei lavoratori della terra. Questo arco di tempo che intercorre tra le “fanove” – i falò accesi il 17 gennaio – giorno in cui si festeggia Sant’Antonio abate con l’inizio del Carnevale e il Martedì grasso (giorno che precede il Mercoledì delle Ceneri e in cui si svolge il torneo a cavallo per forare il palloncino o la vescica), a sua volta è il centro propulsivo di quella parte dell’annata agraria compresa tra le brume dell’autunno-inverno e la ricomparsa del “fior del verde”, con l’eterno ritorno della Primavera. In questa atavica cultura contadina va inquadrato il nostro Palio del Viccio. Esso va interpretato alla luce della ritualità connessa al ciclo agrario, scadenzato durante l’annata da una serie di riti apotropaici e propiziatori. La liturgia che coniuga l’aspetto ludico con quello agonico e che vede i cavalieri sfidarsi con un esercizio di destrezza e di abilità, conferisce suspense a un rito-spettacolo indubbiamente affascinante e coinvolgente. Lungo il corso principale del paese, i fantini a turno galoppano ergendosi in piedi sulla sella con un’asta acuminata vibrata in direzione del palloncino da forare, in un clima di tensione emotiva, di crescente ansia ed eccitazione che il pubblico astante scioglie nel tripudio finale acclamante il vincitore della gara che ha conseguito il trofeo. La spettacolarità della kermesse si sovrappone alla drammaticità dell’evento durante il quale si svolge una vera e propria esecuzione. L’elemento specifico del nostro “Palio”, infatti, più che la cavalcata o la giostra, è il viccio (in dialetto “u viccǝ”, cioè il tacchino, il gallinaceo simbolo di opulenza e di fertilità). Questi è il capro espiatorio, l’oggetto sacrificale su cui vengono caricati tutti i malanni che si intendono eliminare dalla comunità in una liturgia di morte-resurrezione. Il tacchino è la personificazione di re Carnevale che dev’essere giustiziato, deve morire portandosi nella tomba il male per far rinascere il bene. In tempi addietro la giostra per infilzare il viccio o il gallo (un vero e proprio sacrificio rituale, mimesi di una esecuzione un tempo cruenta) era preceduto dal “testamento del Carnevale” ed era seguito dal suo funerale.
Quello che si celebra, quindi, è un rito di passaggio e di rinascita, un esorcismo finalizzato a scongiurare la fame e a caldeggiare l’abbondanza, il tutto sotteso dal “paradigma carnescialesco”, caratterizzato dal ribaltamento di ruoli e funzioni, dal trionfo dell’anomia e della licenza consentita in questa parentesi di caos nell’ordine costituito, dalla sospensione della regola morale e consuetudinaria, dal prevalere del riso che è propiziatorio e fa buon sangue.
Se ci si impegnasse a comprendere e ad approfondire questo interessante patrimonio folklorico, si potrebbe approntare un ricco programma di iniziative che potrebbero animare tutto il periodo del carnevale palese. E si tornerebbe a integrare il Palio del viccio nel naturale contesto delle manifestazioni carnevalesche dalle quali non va isolato come evento>>.
Concludendo, però, è bello ricordare e far presente che nella nostra cittadina, come ci racconta il divulgatore Mimmo Lattarulo, il Carnevale è caratterizzato da una storia che sà di antico; dalla sua ricerca, infatti, emerge come già dall’anno 1694, a Palo del Colle, si tenevano dei festeggiamenti carnevaleschi pazzeschi e grandiosi dei quali si parla anche in un antico manoscritto datato 1757 che riferisce nello specifico di un popolo (quello palese) <<perduto in danze, suoni e pericolosi passatempi…>> durante il periodo carnevalesco.
Alla luce di quanto disquisito in questo breve scritto, e a prescindere dalle plurime tesi “ab orìgine” del nostro Palio, ciò che di più importante si auspica resti impressa nel cuore e nelle menti dei palesi, è la ferma e fervida volontà di conservare e perpetrare con consapevolezza le nostre tradizioni folkloriche (tra le quali anche il Palio) e preservare questo grande e incommensurabile patrimonio culturale, emblema identitario che mirabilmente congiunge passato, presente e futuro.

venerdì 9 Febbraio 2024

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